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Romani? o qual luogo daremo alle fabbriche degl' Indiani, i quali hanno voluto contender di grandezza, e di spesa con gli uni e con gli altri? se pur meritano fede le relazioni de' più moderni, mentre essi cercano di togliere l'autorità alla virtù, ed alla gloria degli antichi.

FICINO. L'arti, come ho detto, ebbero origine dalla necessità; l'accrebbe il piacere, l'utilità, e l'onore; il quale, come dice M. Tullio, è quel, che le nutrisce. Laonde si dee credere che non solo per utilità, ma per ornamento, e per gloria della patria, e memoria degli antecessori abbiano avuto accrescimento, e particolarmente quelle, che sono più nobili, come la pittura, la scultura, e l'architettura; ed in questa, se crediamo a Strabone, i Romani superarono gli Egizj, e tutte l'altre nazioni, avendo maggior riguardo all' utilità, e al decoro, che ad una vana ostentazione di potenza; benchè dappoi Cajo e Nerone colla smisurata ampiezza delle proprie abitazioni, volessero quasi far d'una grandissima città una casa conveniente alla maestà dell'Imperio, come essi credevano; o piuttosto all'animo, per la prosperità della fortuna incapace della propria grandezza, e tutta volta desideroso di maggiore. E non è maraviglia, se non capendo in se stessi, dimostrassero la medesima dismisura, e l'orgoglio medesimo negli edificj maravigliosi: ma comunque sia, tutte le cose debbono essere dirizzate ad un fine, e l'infinite non han luogo nell'universo, perchè l'universo è ordinato, e l'infinito non può ordinarsi. Parliamo dunque di quelle, che possono ordinarsi, ed assomigliamo (s'è lecito) le cose maggiori alle minori. Dico adunque che, siccome nell' Arsenale de' Veneziani sono molte arti con incredibil industria, e con maravigliosa sollecitudine e prestezza esercitate, l'una nondimeno all'altra è ordinata, e 'l fine di ciascuna è drizzato al fine della sua principale, che è quasi architettonica; così parimente nella vita, i fini di tutte l'arti servono, o debbono servire a quello della divina Filosofia, la quale o sola, o sovra l' altre tutte si gloria di libertà; perciocchè ella è arte dell'arti, e scienza delle scienze, e 1 suo fine, s'io non sono errato, non è il diletto, mia il sape

re, o la Sapienza, o Dio stesso, che è la vera Sapienza, quantunque con questo fine inseparabilmente sia congiunto il piacere. Ecco il nettare celebrato da' poeti, ecco i vivi fonti d'acque perpetue, ed inessiccabili, ne' quali si spengono la sete gli altissimi ingegni, ed a questi c'invita l'armonia, e la misura de'movimenti celesti. Ascoltate le voci del Cielo, e del Mondo medesimo, ascoltatele nelle parole di Plotino, o di S. Agostino, perchè la mia lingua non basta a suono così alto, e così maraviglioso.

LA

CAVALLETTA

AL MOLTO REVERENDO ED ILLUSTRE SIGNORE

E PARENTE OSSERVANDISSIMO

IL SIGNOR CRISTOFORO TASSO

La Poesia Toscana è tanto nobile per la bellezza della favella, quanto per l'eccellenza degli Scrittori, laonde potrebbe far dubbia la palma degli antichi Greci e Latini. Ma senza dubbio è degna d'essere imitata dagli autori dell' altre lingue, che oggi son più famose, e e posta innanzi per esempio di gravità e di leggiadria; e qualunque s'è più atta ad esprimere gli amorosi concetti, e gli altri più gravi, molti ornamenti può da lei ricevere, e molte ricchezze. Grandissima impresa dunque e malagevole è il trattarne, imperocchè di lei scrivendo par che si scriva a tutte le nazioni, e che l'uomo sottoponga il suo parere, quasi in un teatro, ad infiniti giudici. Ma pur fra tutti gli altri modi estimo questo usato nel Dialogo il più dilettevole, e'l meno odioso: perchè altri non v'insegna il vero con autorità di maestro; ma il ricerca a guisa di compagno; e ricercandolo per fatta maniera, è più grato il ritrovarlo. E come i cacciatori mangiano più volentieri la preda, nella quale ebber parte della fatica; così quelli, ch'insieme investigaron la verità, partecipano con maggior diletto della comune laude: e gli altri leggono, ed ascoltano più volentieri una amichevole contesa d'ingegni, e di opinioni, massimamente coloro, che possono darne giudicio, come V. S. Molto Reverenda, e metter la sua insieme con quella degli altri. A lei dunque il mando, sapendo di non poter ritrovar nè più dotto, nè più sincero giudice; quantunque non le s'appresenti come litigante, che voglia sentenza; ma quasi dono, che ricerchi benevolenza.

D. V. S. M. Reverenda

st

Affezionatissimo Parente, e ser.
TORQUATO TASSO.

CAVALLETTA

OVVERO

DELLA POESIA TOSCANA

DIALOGO

ARGOMENTO

Orsina Cavalletta, gentildonna Ferrarese, non meno chiara per

bellezza che per virtù, fu assai leggiadra rimatrice, e tenuta dal Tasso in così gran pregio, che nel cognome di lei volle egli intitolar questo Dialogo. Ella è qui introdotta a ragionare della Toscana Poesia col proprio marito Ercole Cavalletto, uomo di molte lettere, e col Tasso medesimo, che sotto il nome di Forestiero Napoletano si ricopre. Al qual colloquio dà occasione un Sonetto di Francesco Beccuti, detto il Coppetta, che vien posto in comparazione di uno del Casa, trattanti e l'uno e l'altro quasi della stessa materia. Si comincia dall'esaminare le varie testure de' sonetti, e si parla dei caratteri dello stile, che secondo le dette forme o testure sono da a doperarsi. Si stabilisce che nella testura gravissima, a cui si conviene altissimo soggetto e gravissimo stile, deesi cercare nel fine di accrescere la gravità, il numero e la grandezza. Si recano gli esem pj del modo, con che si debbono chiudere i sonetti, avuto riguardo alle forme ed a' caratteri del principio. Si applicano questi insegna menti ai due sonetti paragonati, e si conchiude che quello del Coppetta è trattato con minore artificio dell' altro del Casa. Parlando appresso del sonetto in generale, si osserva che quantunque la sua testura sia moltiforme, egli è tuttavolta poco acconcio a ricevere bassezza ed umiltà, e che sebbene Dante lo abbia messo dopo le ballate, nondimeno il Petrarca, il Bembo ed altri lo hanno nobili tato di tal maniera, che nella sua prima umiltà è pressochè disprez zato. Si toccano alcune cose delle forme de' componimenti convene voli alle materie umili ed alle umili diciture; e si vien quindi a discorrere delle canzoni, esponendo le dottrine dell' Alighieri, che nel suo libro del Volgare Eloquio fu il primo a raccogliere sotto regole il magistero dell'arte di esse, che sino a lui era stato preso casualmente. Entrasi poscia a favellare dell' arte e del giudicio nel com porre. Si fa conoscere che il poeta non in tutte le cose, nè sempre può o debb' essere artificioso; che puossi talora concedere al giudicio il

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