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139 Maraviglia sarebbe in te, se privo D'impedimento giù ti fossi assiso, Com' a terra quieto fuoco vivo.

Quinci rivolse inver lo cielo il viso.

non in quanto servisse questa al cielo come di scala. Nè S. Paolo ci specifica, che la virtù, che avranno i corpi degli eletti dopo la risurrezione, abbia a consistere in una nuova positiva qualità piuttosto che nel toglimento della gravità; dalla quale essendo, come ora dirà, Dante libero, ottiene perciò in lui tutto il suo effetto l'istinto al cielo ad imo, al fondo.

139 140 141 Se privo d'impedimento, della gravità giù ti fossi assiso, te ne stessi attaccato alla terra Come a terra ec. ellissi, il cui pieno dee intendersi, come maraviglia sarebbe se stesse a terra quieto il vivo fuoco; che, come ha detto, ha istinto inver la Luna. * Parecchj Codici osservati compreso il CAET. discordano tra loro nella lezione di questo verso 141. che può esser sembrato scarso di suono agli scrittori, e perciò l'hanno vibrato con aggiunta di particelle, altri in, altri il e prima e dopo a lor talento. Ma siccome niuna lezione ci soddisfa punto non crediamo di farne qui una stucchevol rassegna. N. E.

Fine del canto primo.

20

CANTO II.

ARGOMENTO

Sale il nostro poeta nel corpo della Luna, dove come fu giunto, muove a Beatrice un dubbio; e questo è intorno alla cagione delle ombre, che dalla terra in essa si veggono il qual dubbio ella gli risolve pienamente.

I

O voi, che siete in piccioletta barca,

Desiderosi d'ascoltar, seguìti

Dietro al mio legno, che cantando varca,

4 Tornate a riveder li vostri liti:

Non vi mettete in pelago, che forse

Perdendo me,

rimarreste smarriti .

1 al 6 0 voi, che siete ec. Rassembrando qui pure, come nel principio del Purgatorio ha fatto, il comporre suo all'impresa di viaggiar per mare, e supponendo conseguentemente che per mare viaggiando lo seguano gli ascoltatori, passa ad ammonire quelli che sono in piccioletta barca, che hanno cioè picciolo capitale di teologia, a non innoltrarsi seco nel vastissimo pelago, pericolo essendo di perdere la di lui traccia, e di andarne smarriti; d' intendere cioè le cose malamente. La costruzione è, O voi che desiderosi di ascoltare siete in piccioletta barca seguìti, venuti in seguito (a) dietro al mio legno, che cantando varca, (così l'allegoria seguendo, in vece di dire appresso al mio poema che verseggiando s' inalza), tornate a riveder li vostri liti, lasciate il troppo alto mare, e riaccostatevi a terra ec.

Ad un errore di stampa in alcuna delle meno antiche edizioni occorso nel principio della lunga chiosa che fa il Landino a questo passo fermatosi il Venturi crede e fassi le maraviglie che spieghi esso comentatore Seguitate pure il mio legno, come se seguìti detto avesse in luogo di seguite.

Non solo però l'edizioni più antiche (b) sono da cotal errore esenti, ma le stesse meno antiche, le quali su 'l principio della chiosa errano, fanno nel progresso l'errore manifestamente conoscere.

(a) Seguire, andare, o venir dietro, spiega il Vocabolario della Crusca. (b) Vedi l'edizione di Firenze del 1481.

7

L'acqua, ch' io prendo, giammai non si corse :
Minerva spira, e conducemi Apollo,

E nove Muse mi dimostran l'Orse.

7 L'acqua, ch' io prendo, intendi, a varcare, a solcare giammai non si corse. La materia, de la quale io intraprendo di voler trattare, non s'intraprese mai. Ma bisogna intender poetando; perchè nessuno innanzi nè dopo lui ha in tal facultà delle divine cose secondo la sacra teologia trattato. VELLUTello. Il Signor Portirelli vero Professor di Belle lettere, Filologo sempre e ben di rado grammatico, opportunamente qui ci ricorda il passo parallelo di Lucrezio. Avia Pieridum peragro loca nullius ante trita solo ec. N. E.

8 9 Minerva spira ec. Avendo parlato del suo comporre, come d' uno intrapreso nuovo viaggio per l'alto mare, coerentemente specifica gli ajuti che riceve da Minerva, da Apolline, e dalle Muse; come cioè se Minerva servisse lui di vento, Apolline di piloto, e le Muse di bussola, ad indicargli l'Orsa maggiore, e minore, stelle vicine al nostro polo, e regolatrici della navigazione ne' mari al di quà dell' equatore.

Agli Accademici della Crusca è piaciuto di leggere nuove Muse con soli cinque mss. piuttosto che nove Muse con più di novant' altri mss., e con tutte le anteriori edizioni; essendo parso loro che questa lezione guastil concetto al Poeta.

Egli non pare che pel concetto, del Poeta non possano gli Accademici avere inteso altro che lo scopo di far meglio spiccare la novità del suo tema. Ma se avesse Dante perciò richieste nuove Muse, perchè non avrebbe eziandio ricercato una nuova Minerva, e un nuovo Apollo? Meglio adunque, e pe 'l maggior numero de' testi, e per 1' accordamento della sentenza leggerem nove: e intenderemo insinuar Dante la difficoltà del suo lavoro per ciò solamente che, ove agli altri Poeti per l'opere loro basta alcuno, per lui abbisognano tutti insieme i Numi che. alle scienze presieggono. Il COD. CAS. porta anch'esso, come i cinque mss. dei Signori Accademici, nuove invece di nove; ma il P. Abate di Costanzo opportunamente riflette esser stato scritto così per errore del copista, mentre nella corrispondente chiosa si nota: idest novem virtutes, et scientiae ec. Concorda anche il Postill. del CoD. CAET., che spiega Stellae septentrionales, idest Ursa major, et minor, ostendunt mihi novem musas, idest novem conditiones, quæ faciunt poetam; ed il Canonico Dionisj non legge altrimenti. Il Signor Poggiali però ritiene nuove e pone a limbicco questo passo come un' Allegoria da trarne spirito sublimato. Minerva dunque crede egli che sia la scienza delle divine cose; Apollo un celeste genio presidente ai sacri canti, e le nuove cioè novelle Muse, non le solite mentite dee, ma novelle celesti benefiche grazie ec. Sia ringraziato il cielo che quell'u di nuove ha risparmiato a Dante un rimbrotto come quello, che il Signor Poggiali gli ha fatto nel canto 1." v. 13. di questa cantica. N. E.

10

13

Voi altri pochi, che drizzaste 'l collo
Per tempo al
pan degli angeli, del quale
Vivesi quì, ma non si vien satollo
Metter potete ben per l'alto sale

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Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all' acqua, che ritorna eguale.
16 Que' gloriosi, che passaro a Colco,
Non s'ammiraron, come voi farete,
Quando Jason vider fatto bifolco.

10 Drizzaste il collo, per drizzaste il capo (cioè applicaste la mente), detto per metonimia, per essere quello di questo un atto necessariamente consecutivo .

11 12 Al pan degli angeli, alla cognizione e contemplazione di Dio, che degli angeli, e di tutti i beati è il vero pane, la vera ambrosia del quale Vivesi quì, di cui qui 'n terra viviamo bensì spiritualmente

ma non si vien satollo; imperocchè solo a' beati in Paradiso è dato di saziarsene, giusta il Davidico detto, Satiabor cum apparuerit gloria tua (a). Gli Accademici della Crusca ad imitazione d'alcuni mss. hanno scelto di leggere sen vien in luogo di si vien, che leggevano tutte l'edizioni antiche, parendo loro, che sen vien, aggradisca e particolareggi più. Sembra nondimeno che i tre vicini monosillabi tutti terminanti in n, non sen vien, altro non facciano che apportare al ver

so durezza.

13 Metter potete ben corrisponde questo ben all' utique de' Latini, e come se fosse detto Bensi voi metter potete ec. alto sale, per alto mare, ad imitazione de' Latini, che non pur salum, ma anche sal, e sale hanno il mare appellato (b).

14 15 Servando mio solco ec.: conservando, continuando a tenere aperto dinanzi, cioè con la prora vostra, il solco mio, il solco fatto dalla mia barca, all'acqua, nell'acqua (c), che ritorna eguale, che senza chi la tenga aperta si riunisce e s'agguaglia.

16 Que' gloriosi ec.: gli Argonauti, Greci campioni, che passarono a Colco nell' Asia a rapirne il famoso vello d'oro.

18 Quando Iason ec.: quando videro il compagno loro Iasone, domati i tori spiranti fiamme dalle narici, arare con quelli il terreno, e seminando denti di serpente nascere uomini armati. Favola d'Ovidio (d) .

(a) Psal. 16. (b) Vedi Rob. Stef. Thesaur. ling. Lat. art. sal. (c) Della particella al per nel vedi Cinon. Partic. 2 5. (d) Metamorph. vì v. 100. e segg.

19

La concreata e perpetua sete

Del deiforme regno cen' portava

19 20 La concreata ec. Per questa sete (chiosa il Venturi ) concreata e perpetua, non intendo col Landino e Daniello il desiderio connaturale, che sempre, da che fummo creati, abbiamo della celeste beatitudine; ma intendo col Vellutello quella virtù, e impeto connaturale alle sfere celesti di muoversi, come si muovono: perchè il Poeta 'vuol dire, come dalla sfera del fuoco passò più in sù al cielo della Luna; e ciò dice essersi fatto non per via di salire da se, come aveva fatto fin lì, ma per via d'esser portato e rapito dal moto del primo mobile, e rapito in giro di modo da trovarsi a piombo sotto la Luna, dove ora con questo ratto passano Dante e Beatrice. Per tanto a spiegare questo moto e rapimento locale in giro, non era al caso il nostro desiderio d' esser beati, ma sì bene la virtù che muove i cieli, i quali se si muovono ab intrinseco, ben può essa virtù chiamarsi per metafora sete concreata e perpetua: quantunque per verità il Poeta poco sotto in questo canto medesimo porti opinione, che si muovano piuttosto ab extrinseco .

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Ab extrinseco certamente, cioè per le motrici assistenti angeliche intelligenze, ammette Dante muoversi i cieli (a) e ne lo conferma in questo medesimo canto. in que' versi .

Lo moto e la virtù de' santi giri,

:

Come dal fabbro l'arte del martello,

Da' beati motor convien che spiri (b).

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a

Ma se perciò la concreata e perpetua sete male ai cieli si confà, tolgasi pure da essi, ed ascrivasi, come il Landino el Daniello vogliono, Dante stesso e a Beatrice, che il trovamento del Vellutello non è che un mero paralogismo.

Il primo mobile, non la sola sfera del fuoco seco in giro rapisce, ma contemporaneamente tutte quante le sfere a lui soggette, e la stessa Luna. Come adunque potuto avrebbero Dante e Beatrice per cotale rapimento accostarsi e trovarsi a piombo sotto la Luna? La sarebbe questa simile alla stortura di quello sciocco, che tenta correndo di superare la propria ombra .

ecco

Che non possa Dante per la concreata e perpetua sete avere inteso il desiderio in esso lui ed in Beatrice della celeste beatitudine, la ragione per cui se lo persuade il Vellutello. Se (dice) di questa sete avesse inteso di parlare, non l'averia fatta perpetua, ma naturale; perchè le cose perpetue non mutan mai essere come le naturali fanno. Onde al principio del xx1. del Purgatorio, di questa tal cupidità parlando disse

La sete natural che mai non sazia

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Se non con l'acqua, onde la femminetta
Sammaritana dimandò la grazia,

(a) Vedi Dante nel Convito tratt. 2 cap. 2. (b) Verso 127 e segg.

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