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CANTO XVIII.

ARGOMENTO

Descrive il Poeta, come egli ascese al sesto cielo, che è quel di Giove; nel quale trova coloro, che dirittamente avevano amministrato giustizia al mondo.

1

Già

ià si godeva solo del suo verbo Quello spirto beato, ed io gustava

Lo mio, temprando 'l dolce con l'acerbo :

4 E quella donna, ch' a Dio mi menava,

1 2 3 Si godeva solo del suo verbo Quello spirto ec. Il Landino, Vellutello, Daniello, e Volpi per suo verbo chiosano le cose dette da Cacciaguida a Dante. Malamente però imperocchè bisognerebbe intendere che anche lo stesso Dante gustasse il dolce con l'acerbo dalle cose da lui risposte a Cacciaguida, e non dalle cose da Cacciaguida intese. Meglio adunque, per mio avviso, il Venturi intende per verbo il pensiero, e chiosa che Cacciaguida godeva nel pensare fra se stesso tacendo, e non communicando col parlare ad altri quelle cose che allora gli andavano per lo pensiero. Manca soltanto d'avvertire, che verbo per pensiero o concetto è termine preso dalle scuole. Sciendum (scrive Lirano) quod vox significativa dicitur verbum sed hoc est tantummodo large, et denominative, in quantum significat interioris mentis conceptum: sicut urina dicitur sana in quantum est sanitatis indicativa: et ideo sicut proprie dicitur sanitas quod per urinam designatur, ita illud propriè dicitur verbum, quod per vocem significatur: hoc autem est interior mentis conceptus: secundum quod dicit Philosophus 1. Perihermineias: voces sunt notae et signa earum passionum, quae sunt in anima; et ideo conceptus mentis interior, etiam antequam per vocem designetur, proprie verbum dicitur (a). - ed io gustava non dice godeva, come di Cacciaguida disse, ma gustava, cioè assaggiava quanto pel parlare fattomi da Cacciaguida mi si volgetemprando 'l dolce con l'acerbo, giacchè la predizione era stata di cose parte avverse, e parte prospere. VENTURI. 4 E quella donna, che ec.: e Beatrice, che conduceami al Paradiso.

il mio :

va in mente

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(a) In Joan. cap. 1.

Disse muta pensier, pensa ch' io sono Presso a colui ch' ogni torto disgrava . 7 Io mi rivolsi all' amoroso suono

ΙΟ

Del mio conforto; e, quale io allor vidi
Negli occhi santi amor, quì l'abbandono :
Non perch'io pur del mio parlar diffidi,

Ma per la mente che non può reddire
Sovra sè tanto, s' altri non la guidi.
13 Tanto poss' io di quel punto ridire,
Che rimirando lei lo mio affetto

Libero fu da ogni altro disire.
16 Fin che'l piacere eterno, che diretto
Raggiava in Beatrice dal bel viso,
Mi contentava col secondo aspetto.
19 Vincendo me col lume d'un sorriso

Ella mi disse: volgiti ed ascolta,

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5 6 Muta pensier, non pensar più ai torti, che riceverai. VENTURI. presso a colui ec. vicino a Dio, che disgrava ( ch' alleggerisce) ogni torto ed aggravio, vendicandolo nell' offensore, e premiandolo nell' offeso se lo soffre come si deve allude al mihi vindicta; ego retribuam (a) VENTURI. II COD. CAS. in luogo di presso a colui legge pensa a colui. N. E.

:

7 8 9 All' amoroso suono Del mio conforto, all' amorosa voce di colei, che mi confortava, e quale ec. ellissi, in vece di pienamente dire ed abbandono, tralascio, qui il dire quale io vidi allor amore negli occhi santi, negli occhi di Beatrice.

:

10 11 12 Non perch' io pur del mio parlar diffidi. Non pure, non solamente, perchè disperi di trovar termini valevoli ad esprimerlo. Ma per la mente ec.: ma per cagione eziandio della mente, della memoria (b) mia stessa, che non può tornare a rappresentarselo qual era, se non l'aiuta quella grazia medesima che, sollevandola allora sopra delle sue forze fece, che lo si rappresentasse .

tanto

13 Tanto, al senso dell' avverbio Latino tantum, tantummodo, soldi quel punto, ellissi, per di ciò, che in quel punto vidi. 16 al 21 Fin che'l piacere eterno ec. La concatenazione del parlare

(a) Ad Rom. 12. (b) La mente presa dal Poeta nostro per la memoria, vedila Inf. I 8, ed altrove.

22

Che non pur ne' miei occhi è Paradiso.
Come si vede quì alcuna volta

L'affetto nella vista, s' ello è tanto
Che da lui sia tutta l'anima tolta;
25 Così nel fiammeggiar del fulgòr santo
A ch'io mi volsi, conobbi la voglia
In lui di ragionarmi ancora alquanto.
28 E cominció: in questa quinta soglia
Dell' albero che vive della cima,

E frutta sempre, e mai non perde foglia,

richiede che s'intenda per ellissi tralasciato di premettersi a questo terzetto un così al senso di così andava la cosa, ed al terzetto seguente un ma poi; come se detto avesse, così libero da ogni altro disire fu il mio affetto fin che il piacere eterno, il divino beatifico lume, che diretto, direttamente, raggiava in Beatrice, dal bel viso di essa riflettendo, mi contentava col secondo aspetto, col secondario venire a' miei occhi. Ma poi con un sorriso vincendo me, distogliendomi da quel

beato assorbimento, ella mi disse ec. Che non pur ne' miei ec. che non è il Paradiso solamente negli occhi miei. * Tutti i Comentatori sembraci, che vadan contenti di spiegare in generale che Paradiso non è solamente negli occhj di Beatrice; ma non han cura di avvisarci dove sia fuori di essi. Supplisce il POST. CAET. dicendo Quia non solum in contemplatione Theologiae est felicitas, et beatitudo, sed etiam in exemplis valentium virorum; la qual chiosa ci soddisfa più di quella del Sig. Poggiali, che comenta Volgiti a Cacciaguida, e tornando a mirar lui dopo aver st goduto nel mirar me vedrai, che non solamente ne' miei occhi ma anche in quelli di lui è Paradiso. Perciocchè dobbiam riflettere in primo luogo che Beatrice disse al Poeta volgiti ed ascolta non già volgiti e guarda; ed in secondo, che Dante nel principio del Canto chiaro si esprime, che non gustava della vista dell'avolo, ma del verbo, cioè de' pensieri e concetti di lui sulle predizioni fauste ed infauste di sua vita N. E.

7

22 23 24 Come si vede quì ec.: come qui tra noi alcuna volta nel solo sembiante (a) scorgesi l''amore - Che da lui sia tutta l'anima tolta, che tutta tiri a se l'anima, che tutta seco abbia impiegata l'anima.

25 Del fulgòr santo, del lume in cui l'anima di Cacciaguida nascondeasi.

26 A ch' io mi volsi legge la Nidob., a cui mi volsi l' altre edizioni. 28 29 30 In questa quinta soglia Dell' albero che ec.: in questo

(a) Vista pcr sembiante adopra il Poeta Purg. xviii 3.

31 Spiriti son beati che giù, prima

Che venissero al ciel, fur di gran voce, Sì ch' ogni Musa ne sarebbe opìma. 34 Però mira ne' corni della Croce

37

Quel, ch' io or nomerò, lì farà l'atto
Che fa in nube il suo fuoco veloce.
Io vidi per la Croce un lume tratto
Dal nomar Iosuè, com' ei si feo,

Nè mi fu noto il dir prima che'l fatto.

40 Ed al nome dell'alto Maccabeo

quinto cielo di Marte (chiosa il Landino) dov'è l'albero della Croce (la luminosa Croce formata in Marte dagli spiriti beati ) (a), che vive della cima ch'è Cristo. Meglio però gli altri spositori comunemente per l'albero, che vive della cima spiegano detto tutto il Paradiso, perocchè vivente del divino lume, che viene a lui dal più alto luogo e come Virgilio nella Georgica appropria la voce tabulatum (che propriamente dicesi delle case, e vale solaio, o palco ) ai diversi ordini o gradi ehe compongono i rami di un albero, contemnere ventos Assuescant, summasque sequi tabulata per ulmos (b), così intendendo che appelli Dante soglie dell'albero del Paradiso i diversi gradi del medesimo, chiosano detto Marte quinta soglia dell'albero, perocchè il pianeta che forma il quinto grado del Paradiso frutta sempre, e mai non perde foglia, sempre è adorno di frondi e di frutti. Il Postill. Glembervie prende questo passo in Allegoria dell' Eternità del Regno Beato, ricordandoci in margine Cujus regni non erit finis. N. E.

33 Ogni Musa ne sarebbe opima, ogni poeta n' avrebbe ricco ed abbondante soggetto pe' suoi carmi.

35 36 Li, intendi nei detti corni della Croce farà l'atto Che fa in nube ec. : farà quel medesimo fiammeggiare e trascorrere che fa nella nube il suo fuoco veloce, il fuoco che nel suo seno nasconde, allorchè formasi di quello il baleno.

37 38 Io vidi per, per entro, la Croce un lume tratto, spinto, mosso, dal nomar, com' ei ( per egli riempitivo) si feo, dal nominarsi, com' egli si fece, Iosuè, famoso capitano dell'Ebreo popolo.

39 Nè mi fu noto il dir prima ec., nè prima udii detto tal nome,

che vedessi quel lume trascorrere per la Croce.

40 Dell' alto Maccabeo, dell' inclito Giuda Maccabeo, liberatore del popolo Ebreo dalla tirannide d'Antioco.

(a) Vedi Paradiso xiv 97 e segg. (b) Georg. I 360 e seg.

Vidi muoversi un altro roteando:

E letizia era ferza del palèo.

43 Così per Carlo Magno, e per Orlando
Due ne seguì lo mio attento sguardo,
Com' occhio segue suo falcon volando.
46 Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
El duca Gottifredi la mia vista,

Per quella Croce, e Roberto Guiscardo.

41 Un altro, intendi, lume roteando, volgersi in giro. 42 Letizia era ferza del palèo: vale, l'allegrezza era quella che facevalo così roteare. Paleo appellasi un pezzo di busso, o d'altro pesante legno, di figura conica, che si divertono i fanciulli di far girare. Sono essi provveduti di una sferza, cioè di una verghetta, dalla di cui cima pende una non lunga cordicella, o striscia di sottil cuoio. Con questa cordicella, o cuoio fasciano a più giri il cono; indi con una mano ritenendo la verghetta, coll' altra lasciano sul pian terreno, colla punta al piano volta, il fasciato pezzo, che svolgendosi concepisce vorticoso moto, che poscia ritiene, anche sviluppato, sul suolo ed affinchè non termini cotal moto, vanno i fanciulli colla detta sferza percuotendo il cono, secondo la direzione del moto che già eseguisce. Questo fanciullesco trastullo, che ci dice il Venturi pratticarsi tuttavia in qualche parte della Toscana, e ch' io stesso ho con piacere osservato in alcun paese della Lombardia (segnatamente in Desio, borgo da Milano dieci miglia discosto), è quello stesso che avvisa il Daniello, e ripete il Venturi, descrittoci elegantemente da Virgilio in que' versi della Eneide (a)

:

Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo,
Quem pueri magno in gyro vacua atria circum
Intenti ludo exercent: ille actus habena
Curvatis fertur spatiis: stupet inscia turba,
Impubesque manus, mirata volubile buxum:
Dant animos plagae

43 Carlo Magno, Imperatore e Re di Francia,

Orlando, Conte

d' Anglante, uno de' più valorosi Paladini di Carlo Magno. VOLPI. 44 45 Due ne seguì ec.: a due altri lumi scorrenti per la Croce l'occhio mio attento tenne appresso, come l'occhio del cacciatore tiene appresso al falcone che vola alla preda .

46 47 48 Poscia trasse ec. Poscia co'lumi suoi scorrenti si attirarono lo sguardo mio per entro di quella Croce Guiglielmo, e Rinoardo, e il Duca Gottifredi, e Roberto Guiscardo. Il verbo trasse, detto del

(a) Lib. vn 578 e segg.

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