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DELL' INFERNO

CANTO II.

ARGOMENTO.

S'arresta, e teme dell' aspro viaggio.
Chiede a Virgilio, s' ei sarà possente
A sostenerlo, e gli risponde il saggio:
Che dal più puro Cielo, e più lucente

Beatrice scesa, che cotanto l'ama,
Lo manda a lui: di nuovo egli acconsente,
E più s'accende dello andar la brama.

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Tu dici, che di Silvio lo parente,
Corruttibile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente.
Però se l'avversario d' ogni male

Cortese fu, pensando l' alto effetto,

Di Silvio lo parente, Enea.

Ad immortale secolo, cioè, all' Inferno.

Sensibilmente, intendi: col

corpo.

L'avversario d'ogni male, cioè, Dio.

L'alto effetto, intendi : l'impero romano, che provenné da

Ch' uscir dovea di lui, e il chi, e il quale; Enea.
Non pare indegno ad uomo d' intelletto,

Ch' ei fu nell' alma Roma, e di suo impero
Nell' empireo ciel per padre eletto:

La quale, e il quale ( a voler dir lo vero )
Fur stabiliti per lo loco santo,

U' siede il successor del maggior Piero.
Per questa andata, onde li dai tu vanto,
Intese cose, che furon cagione

Di sua vittoria, e del papal ammanto.
Andovvi poi lo vas d'elezione,

Per recàrne conforto a quella fede,
Ch' è principio alla via di salvazione.
Ma io perchè venirvi? o chi il concede?
Io non Enea, io non Paolo sono:
Me degno a ciò nè io, nè altri crede.
Perchè se del venire io m' abbandono,

Temo che la venuta non sia folle:

Se' savio, e intendi me', ch' io non ragiono.
E quale è quei, che disvuol ciò, che volle,
E per novi pensier cangia proposta,
Sì che del cominciar tutto si tolle;

Il chi, i Romani. Il quale, le virtù loro.

Ei, cioè, Euea.

La quale, Roma . Il quale, l'imperio.

Lo loco santo ec. la sede apostolica.

U', dove.

Per questa andata l'andata all' inferno.

, per

Di sua vittoria ec. intendi: la vittoria d' Enea contro Turno, la quale fu cagione, che fosse fondata Roma, ove poi si stabili il Papato.

Lo vas d'elezione. S. Paolo nelle sacre carte è chiainato vaso d'elezione.

ec.

Perchè se del venire perchè se mi arrendo a venire.

Me', meglio.

Si tolle, si toglie, si ri

muove.

Tal mi fec' io in quella oscura costa:
Perchè pensando consumai la impresa,
Che fu nel cominciar cotanto tosta.
Se io ho ben la tua parola intesa,
Rispose del magnanimo quell' ombra,
L'anima tua è da viltate offesa:
La qual molte fiate l' uomo ingombra,
Sì che d'onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia, quand' ombra.
Da questa tema acciocchè tu ti solve,

Io

Dirotti, perch' io venni, e quel, che intesi
Nel primo punto, che di te mi dolve.

era intra color, che son sospesi,

E donna mi chiamò beata e bella,
Tal che di comandar io la richiesi.
Lucevan gli occhi suoi più che la stella:
E cominciommi a dir soave e piana,
Con angelica voce, in sua favella:
O anima cortese Mantovana,

Di cui la fama ancor nel mondo dura,
E durerà quanto il mondo lontana;
L'amico mio, e non della ventura,

Nella diserta piaggia è impedito

Si nel cammin, che volto è per paura:
E temo, che non sia già sì smarrito,

Ch' io mi sia tardi al soccorso levata,
Per quel ch' i' hò di lui nel cielo udito.
Tomo I. 2

Perchè pensando, perchè meglio considerando: consumai la impresa ec., cessai dalla deliberazione presa di seguitare Virgilio, la quale da principio fu così prouta.

Del magnanimo, cioè, di Virgilio.

Lo rivolve ec. lo rivolge cioè, lo distoglie da onorata impresa.

Quand' ombra, cioè, quando ha ombra.

Ti solve, ti sciolga.

Dolve, dolse.

Color ec. dice sospesi co loro, che stanno nel limbo, perchè non sono nè dannati, uè premiati.

La stella, intendi : il sole.

E durerà ec. e durerà Iungamente quanto il mondo.

L'amico ec. l'uomo amato da me, e non dalla fortuna: l'amico mio sfortunato.

Volto, cioè, valto indietro.

Or muovi, e con la tua parola ornata,

E con ciò, che ha mestieri al suo campare,

L' aiuta sì, ch' io ne sia consolata. Io son Beatrice, che ti faccio andare: Vegno di loco, ove tornar disio: Amor mi mosse, che mi fa parlare. Quando sarò dinanzi al Signor mio,

Di te mi loderò sovente a lui.
Tacette allora, e poi comincia' io:
O donna di virtù, sola, per cui

L'umana specie eccede ogni contento
Da quel ciel, ch' ha minori i cerchi sui;
Tanto m'aggrada il tuo comandamento,

Che l' ubbidir, se già fosse, m'è tardi:
Più non t' è uopo aprirmi il tuo talento.
Ma dimmi la cagion, che non ti guardi
Dello scender quaggiuso in questo centro,
Dall' alto loco, ove tornar tu ardi.
Da che tu vuoi saper cotanto addentro
Dirotti brevemente, mi rispose,

Perch' io non temo di venir quà entro.
Temer si dee di sole quelle cose,

Ch' hanno potenza di far altrui male:
Dell' altre no, che non son paurose
Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,
Che la vostra miseria non mi tange,
Nè fiamma d'esto incendio non m' assale.

Di loco ec. cioè, dal Paradiso.

Per cui ec. per cui l'umana specie avanza di perfezione ogui altra cosa contenuta sotto il cielo lunare.

Se già fosse ec. quantun que gia fosse in atto, mi par rebbe tardo.

Aprirmi ec. manifestarmi il tuo volere.

In questo centro, cioè, nel limbo.

Dall' alto loco, cinè, dal Paradiso tu ardi, cioè, tu desideri.

Paurose, da far paura.

Tange, tocca.

D' esto incendio, cioè, di questo luogo ardente.

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