nella metafisica, nella meccanica; ma ben anche nella politica e nella milizia. Creato autocrata, ossia imperatore della Magna Grecia egli comandò sette volte gli eserciti, e sempre fu vittorioso, e signoreggiò la fortuna sottomessa e obbediente alla forza di quell' altissimo ingegno, e all'efficacia di un animo delibe rato, irremovibile, ed operoso. Per punire l'invidia e l'ingratitudine de' suoi concittadini avendo Archita una volta abdicato il comando dell'armi, l'esercito fu disfatto. Tornò egli alla testa dei vinti, e i vinti tornarono vincitori. Vedi Diog. Laerzio Vita di Archita, e il commento del Menagio l. VIII. segm. 79. Pag. 302. (3) La prima persecuzione sofferta dai Pittagorici fu quella di Cilone potente e pessimo Crotoniate. Costui per vendicarsi dell' essere stato pe' suoi superbi costumi escluso dalla società di que' saggi, suscitò contro di essi una popolare sollevazione, nella quale perì lo stesso Pittagora con tutti i discepoli che seco trovavansi, tranne Archippo, e quel Liside celebratissimo, che rifugiatosi in Tebe, fu poi l'educatore di Filippo e d'Epa minonda. PAG. 304. (4) Questo fatto viene minutamente descritto da Jamblico al cap. 31. e il racconto messo in parole italiane termina così: Niuno di essi (Pittagorici) si lasciò prender vivo dai satelliti (di Dionigi); ma tutti si fecero trucidare, e tutti spontaneamente e volentieri perirono secondo i precetti della loro setta. PAG. 307. (5) Questi due Pittagorici (Timica e Millio) marito e moglie, i soli che per sorpresa rimasero prigionieri, furono mandati sotto buona cautela a Dionigi, il quale gli accarezzò, e promise loro beneficenze ed onori, e a Millio stesso l'amministrazione del regno, purchè iniziarlo volessero nei sacri loro misteri. Tutto indarno. Millio mori muto e magnanimo fra i tormenti. Timica rimasta sola, e perchè gravida, temendo che il dolore non la fa cesse parlare, si tagliò co' denti la lingua, e la sputò in faccia al tiranno. Jamblico cap. 31. PAG. 325. (6) Racconta la favola che Giove sdegnato contro Esculapio perchè richiamava in vita gli estinti, lo spense col fulmine; e che Apollo padre di Esculapio spense con gli stralii Ciclopi per punirli d' aver fornito a Giove la folgore che l' avea privato del figlio. PAG. 332. (7) Te maris et terræ numeroque carentis a renæ, mensorem cohibent, Archyta ec. Hor. Od. 33. L. I |