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A FILLE

I.

O mia Fille, rispondea Al subbietto un di lo stil, Quando in mente mi ridea Della vita il dolce april.

Cento affetti ardeano insieme

Questo facile mio cor:
Eran gli anni della speme
Era il tempo dell'amor.

Preso allora avrei le belle
Tue sembianze a celebrar
Sovra corde non rubelle,
Citarista non volgar.

Dato avrei leggiadro vanto
Quale, o Fille, si convien
All'angelico tuo canto,
Dolce affanno d'ogni sen.

Detto avrei l'ameno ingegno,
Quell'ingegno che pur suol
Si veloce ad arduo segno
Sovra gli altri alzarsi a vol.

Quello spirto che si piace D'ogni ver d'ogni bellà; Tutto acceso all'alta face Della patria carità.

Oh! quai spandi eletti sensi

Di magnanima virtù

Se al valor prisco ripensi,

Se rammemori qual fu

Questa madre che alla gloria Più rivivere non sa,

Nè sa perder la memoria
Dell'antica maestà.

Ma che parlo? O Fille amata, Non m'inganna il mio desir, Ride l'alba sospirata Nell'italico avvenir.

Saran paghi i voti ardenti Onde stanchi il sordo ciel, La regina delle genti Spoglierà l'oscuro vel.

Io quel ben che invoco e spero Da' prim' anni, non vedrò; Un'immagine, un pensiero, Altro allor più non sarò.

II.

Deh un'immago almen foss'io
Sempre viva nel tuo cor;

Un pensier pien di desio,
Di memoria e di dolor.

Quando, o Fille, a suol straniero Io conversi incauto il piè, L'amoroso mio pensiero

Qui rimase allor con te:

Quel pensier che crebbe amaro, E pur dolce al nascer fu, A quest' anima sì caro Quanto amabile sei tu.

O d'amor digiuno core,
Non vedesti quel pensier:
Sola può virtù d'amore
L'invisibile veder.

Si pascea nel dolce viso
Onde sei fra l'altre un Sol,
O ridente del tuo riso,
O dolente del tuo duol.

Se la guancia tua di rosa
Alla palma s'appoggiò,
Se tua fronte fu pensosa,
Muta speme lo tentò.

Se improvviso del tuo petto
Un sospiro udì fuggir,
Ingannato dall' affetto
Volò incontro a quel sospir.

Qui passar sdegnoso Amore
Senza strali un dì mirò,
E dipinto di timore
Umilmente a lui pregò :

O fanciul che i Numi accendi, Ch'hai dell' alme il sommo fren, Bello Iddio, per man mi prendi. E mi guida a Fille in sen.

Quei nel supplice s'affisse,
Non fe' motto, e dispari.
Una donna allor gli disse:.
Sventurato, or che fai qui?

Alle sparse, derelitte
Tue speranze omai sia fin;
Stan le sorti in bronzo scritte:
Mal si pugna col destin.

Ei non porse ai detti ascolto;
Di lasciarti non ha cor:
Nel dolcissimo tuo volto

Ancor guata, e spera ancor.

III.

In quel cor, che mai di fuore Mite segno a me non dà, In quel cor fors'arde amore, Parla forse la pietà.

Come può si gentil salma, Si conforme al puro ciel, Schietta fronte esser dell'alma Un'immagine infedel?

Ah chi sa che mentre a tanto
Io mi struggo aspro dolor,
Non si pianga del mio pianto
Ne' silenzi di quel cor!

O sull' ale d'un momento
Caro inganno passeggier,
Io talvolta ancor risento
Sol per te che sia piacer.

Quanto piace all'altra gente.
Oggi è nulla, è tedio a me:
Per deserti erra la mente
Ove fronda o fior non è.

Deh! fruir la dolce sera,
L'alba lieta io possa ancor!
A me rendi, o primavera,
I tuoi zefiri, i tuoi fior!

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