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Al che Beatrice soggiunge: Tanto giù cadde ec., perchè le false immagini del bene, cioè i caduchi onori e la vana pompa dei pubblici uffici furono come altrove disse il Poeta, cagione dell'esilio suo, e principio di tutti i suoi mali ed inconvenienti. É qui giovi notare, come eziandio pei sopraccitati versi apparisca l'inganno di coloro i quali credettero immagine di errori e di colpe l'allegorica Selva. Quelle parole volse i passi suoi mostrano che il Poeta di suo proponimento uscì fuori del verace cammino mentre la voce cadde fa chiaro che egli entrò nell'oscura Selva senza sua voglia. Dove non è volere, non è colpa. E a far bene comprendere il riposto senso di quella Selva avrebbero dovuto non poco valere i suoi medesimi aggiunti, massime di aspra e di forte, convenienti a dinotare qualità di pena, non di peccato. Dunque la Selva significa sventure ed affanni; amaro effetto e punizione di quelle colpe, onde il Poeta, sostenne sì grave rimprovero da Beatrice.

SOPRA UN PASSO DI DANTE

NEL CANTO II DEL PURGATORIO.

Casella mio, per tornare altra volta
Là dov' io son, fo io questo viaggio,

I più de' Comentatori giudicarono che Dante avesse voluto con le predette parole significare: io fo questo viaggio per tornare un'altra volta là dov' io sono ancor vivo, dove ancora ho mia stanza; cioè a dire nel mondo. Non venne però all' animo loro una considerazione che ciascuno, se mal non m'apPongo, terrà per giusta. Che cosa avea chieSto Casella al Poeta? Il perchè del suo maraviglioso viaggio.

ma tu perchè vai?

Ora, se tale fosse stata, quale avvisarono gli espositori, la risposta dell' Alighieri, avrebbe egli addotto ragione alcuna dell'impreso viaggio dicendo io vo' per tornare nel mondo? Certamente nessuna; avrebbe risposto a voto, e negato al desiderio del suo dolce Casella ciò che avea consentito all'altrui. Questo non è da credere; e perciò delle sue parole vuolsi un più acconcio e confacente senso investigare. Nè sarà malagevole il rinvenirlo, chi sappia che (giusta l'interpretazione già per noi data alla principale Allegoria della Divina Commedia) l'allegorico fine del Poema si fu quello di vincere la crudeltà che vietava a Dante il ritorno dell'amaro esilio alla diletta sua patria, alla sua tanto sospirata Firenze.

Presso Autori del buon secolo troviamo l'avverbio dove in luoghi, che naturalmente il donde o il d'ove richiederebbero. Parecchi esempi ne reca il Vocabolario, ai quali gli Accademici aggiunsero l' osservazione che segue: Ma forse in tutti questi luoghi si dee leggere D' OVE: al che il Cinonio soggiunse: « E così debbe sicuramente creder«si; imperciocchè a quella guisa che in an«tico si scrisse donde, dentro, dinanzi, « invece di d'onde, d'entro, d'innanzi, sen«za fallo di d'ove si fece dove. »

Ciò appunto crediamo essere avvenuto nel luogo, di che ora si parla; il cui vero significato, per nostro avviso è il seguente: Io

fo questo viaggio per tornare un'altra volta là d'ove, di dove io sono; che è a dire in Firenze. Ed eccone esempio al tutto simile, notato dal Cesari, nelle Vite de' Ss. Padri (tom. 3, pag. 135 edizione del Manni): Manifestami incontanente dove tu se', e chente fu il tuo nascimento: cioè dove di qual luogo tu sei, e quali si furono i tuoi natali. Per lo che ciascun vede, come la risposta di Dante a Casella

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per tornare altra volta

Là dove io son, fo io questo viaggio,

consuonasse a quelle parole (da noi altrove spiegate) ch'egli rispondendo a Ser Brunetto Latini, avea dette

E riducemi a ca' per questo calle.

Così la nostra interpretazione dell' Allegoria chiarisce quest' altro passo del divino Poema non bene inteso finora, e la nuova dichiarazione di questo torna mirabilmente a conforto e a confermazione di quella.

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