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RIME E PROSE

DEL CONTE

GIOVANNI MARCHETTI

SESTA EDIZIONE ITALIANA
Eseguita sull'ultima di Bologna, per cura dell'Autore.

VOL. I.

NAPOLI

TIPOGRAFIA DI FRANCESCO SAVERIO TORNESE

Salita Selle Dolori n. 35 e 37

492-93

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VOLENTIERI accettai l'incarico che m'imponeste, Raffaele carissimo, di ragionare un poco sopra le poesie del conte Giovanni Marchetti, da voi novellamente fatte imprimere in cotesta vostra nobilissima Napoli con egregia cura e coll' accrescimento di molti e preziosi lavori. Poichè desideravo di mettere in fatti un cotal mio disegno ragionando del suo modo di scrivere e di poetare, e di dare a voi pubblico segno di amicizia e di riverenza. Perciò avea disteso un lungo discorso sopra l'uffizio della poesia lirica; opera forse non mal proporzionata al tempo presente, ma non confacevole all' inten

zion vostra, e forse anco al luogo ove doveva mostrarsi pure immaginai quella intenzione perchè non paresse che, trattando dichiaratamente questo suggetto, le poesie del conte Marchetti avessero bisogno di un panegirico, ed io, giovane di nessun conto, stimassi di avere autorità fama da tanto da metterle in riverenza all'Italia. La quale già le ama da molto tempo, e si gloria di avere un poeta che tenga viva la grazia, la leggiadria, la nobiltà dell'antico poetare: e dimostri poter l'uomo farsi singolare dagli altri senza divenire insolito e fuggire alla scuola del giudizio e della ragione ; e dovere la poesia esser governata da morale o patria carità. Laonde per far cosa grata a voi, che io amo e pregio in estremo, lascerò quell'opericciuola, che a voi indirizzavo perchè dal vostro nome prendesse qualche speciosa comparenza, e verrò discorrendo alla libera i pregi di questo poeta. Non mi conduco a favellare come giudice: sono modesto giovane, il quale, preso di queste poesie, pensa potere essere scusato da temerità pigliando a dire la sua opinione, e pensa potersi lodare senza viltà e senza pericolo. Perciocchè spesso il lodare non è meno pericoloso e prosuntuoso del biasimare: ma svanisce ogni pericolo e vano gonfiamento di prosunzione rinnovando le lodi a cose pregiate e lodate; nè dai prudenti e discreti spiriti penso poter meritar nota di leggiero o superfluo colui che si dà a ricercare nuovi concetti da dirsi sopra la

bellezza e il valore dell'ingegno umano. Chè se anco pregiamo la usanza di celebrare le arti e gli studi, perchè non possiamo lodare i lavori degli artisti e degli studiosi; e considerare le intenzioni loro, e vedere quanto hanno di vero, di profittevole, di gentile; o se smuovono e incrudeliscono le passioni non buone o le segrete infermità dell'animo col trattenere in tempo per mezzo d'inetti e oziosi spettacoli i riguardanti ? Vedete, Raffaele carissimo, ch'egli non ci è venuto a cantare una lamentazione come i cigni avanti al loro passaggio, secondo la più parte dei moderni; i quali credono di fare schermo ai mali piangendo: ma col pianger non s'opra. Dal quale uffizio, più femminesco che virile, non so quanta pietà delle sventure pubbliche si possa ingenerare nel cuore degli uomini: ove dominando più spesso l'accendimento di uno sdegno doloroso, invece di esca perchè prorompa, versiam pianto, non arma, ma vile e quasi colpevole compagno della ragione: nè questo lacrimare e immalinconire continuo è dalle calamità pubbliche, ma più spesso dalle passioni private. Per la qual cosa vestendo il Conte di pulite e leggiadrissime vesti concetti nobili e generosi, sentimenti dilicati e gentili, ha compiuto l'ufficio di un degno scrittore e di un amorevole cittadino. Imperciocchè chiunque si farà a leggere le sue pocsie s'adagierà nella mia sentenza; trovandovi entro utili pensieri governati da un affettuoso senti

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