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que i cerchi che debbono contenere tanti peccatori. I peccati per malizia sono più rari; ed a misura che il peccato è più grave meno esteso è il numero di coloro che se ne imbrattano, finchè si restringe a tale che può dirsi minimo, quale è quello degli assassini dei propri benefattori confinati nell' angustissimo cerchio di Giuda. Così anche il materiale disegno dell' Inferno, ed il restringere i cerchi, come fa gradatamente il Poeta, verso la punta del cono, esprime una filosofica idea su la natura del cuore umano. Nè credasi che le pene da lui assegnate ai malvagi siano capricciose e fantastiche, poichè facil sarebbe il dimostrare come esse abbiano un' origine religiosa o storica, perchè fondate o nelle parole della scrittura, o in quelle de' Padri della Chiesa, o nelle sentenze de' filosofi e de'poeti (1).

Finisco con una osservazione, ed è che la Divina Commedia non cessa di esser libro morale per trovarvisi entro alcune parole, che forse non suoneranno grate ai delicati orecchi di molti lettori. Chè se Dante ha talora usate parole brutte e sozze,

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(1) Perchè non si dica che il corvo si è vestito delle penne del pavone, io dichiaro che tutto ciò che riguarda la moralità delle pene l'ho tratto dal Com, analitico della Div. Com. di GABRIELLE ROSSETTI.

ei lo ha fatto rarissime volte per ritrarre sozze maniere di sozzissima gente, o per dipingere schifose pene di più schifosi peccatori; e in fine per non tradire per mala intesa delicatezza il magistero della imitazione. E siccome natura ed arte vogliono che le parole si conformino alla sua intenzione, la quale altro non è nel Poeta se non quella di svilire e avvallare il vizio, bene avverte il Biagioli (1), che si fatto dire cade in acconcio assai.« Però, continua egli, quando il Poeta loda la virtù sia in Traiano sia in Romeo, persona umile, fa grande sfoggio di luminose ed alte parole; e quando percuote o crede percuotere il vizio, sia re o plebe, l'onta ha in riguardo e non la persona. E se vi fosse da far differenza questo sarebbe in pro del plebeo e ignorante a maggior confusione di chi più dal vizio per nascita e per educazione esser debbe lontano ».

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Lasciata oramai questa parte del mio ragionamento, nella quale mi son forse di soverchio allargato, vengo a quella in cui sarà fatto manifesto il carattere storico-politico, che a tutti gli altri prevale nella Divina Commedia .

(1) Com. al v. 133 e seg. del c. 1 del Paradiso.

PARTE SECONDA

Dire che il Poema di Dante è libro es

senzialmente storico; che egli sotto il velame delli versi strani coperse un altissimo concetto politico; mostrare come sostenesse la universale Monarchia, e fosse della Italia caldissimo amatore; come il suo poema indirizzasse al sociale perfezionamento, e con quanta filosofia e generosità d' animo egli usasse il Volgare nel dettarlo; come finalmente per ottenere l'anelato effetto dovesse riuscire istorico necessariamente, non può sembrar novità. Di ciò vagliono a persuaderci le parole dell' istesso Alighieri, di ciò quelle di numero infinito di dotti. Io corro un' acqua corsa e ricorsa; percorro un campo sfiorato, e mi affanno forse a dimostrare una cosa oramai quasi generalmente sentita. Qual pro dunque di questa fatica? Null'altro se non presentare in un solo corpo gli sparsi elementi a maggior comodo degli studiosi del divino Poema. La opinione, della

quale imprendo a mostrare la verità, cioè che la Commedia di Dante è essenzialmente storica, ha tanto prevalso su le altre nella mente degli eruditi che un moderno scrittore vi ha fondato sopra un sistema d'interpretazione di quel libro. Egli ha voluto che a' tempi del Fiorentino esistesse una società segreta de' Ghibellini. Una società segreta deve avere un gergo e de' simboli; ed egli è andato cercando questo gergo ne'versi dei poeti contemporanei, e in specie degli amici dell' Alighieri, e questo fondato nelle visioni dell' Apocalisse ha voluto deciferare. E Dante, secondo quel moderno, intollerantissimo ghibellino ha scritto in quel gergo un poema, il quale altro non è che un'istorica allegoria. Ed ecco in quel gergo svilupparsi odio grandissimo del papismo, ed amore smodato e frenetico dell' imperiale potestà; e la Divina Commedia, perduta ogni nobiltà divenire un libro mistico, un libro di circostanza, e l'altissimo carme di Dio cambiarsi in satira sanguinosa e maligna. Ecco l'Alighieri non esser più l'amico della verità e della sapienza, non più il cantore della religione e della morale, ma un glibellino frenetico un intollerante settario. L'ingegno però e l'erudizione posta in campo da Gabriele Rossetti, a sostegno dell' addottato si

stema, non permettono di tacciarlo di fantastico senza un esame profondo; e ben altro che una secca disapprovazione si vuole per rovesciarlo. Nè qui è luogo a discussioni sì fatte. E fosse pur delirio quello del Rossetti; ciò non pertanto il punto di vista, sotto il quale ha preso a considerare il роеma, mostra avere anch'esso creduto che il carattere storico prevalga in quello ad ogni altro: del quale sarà parlato in progresso, e dopo che ci saranno manifeste le politiche credenze, ed i politici intendimenti dell' Esule fiorentino.

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Dante bramava la universale monarchia. Sognando ancora le glorie della cesarea città con continui esempi di forza dinnanzi agli occhi, tanto più doloroso dal confronto dovea riescire lo spettacolo dell'attuale debolezza; la quale doveva sembrarli l'agonìa di chi sta presso alla morte. L' Italia altre volte signora perchè una, era divenuta ancella perchè divisa, e si vedeva che presto i ceppi avrebber tenuto il luogo dello scettro. Una convulsione ne agitava le membra, e per continui sforzi distruggeva la energia e le vitali forze della nazione. Papi e re ora funestamente nemici, ora alleati per interesse, cupidi sempre di maggior potenza, e poco curanti della popolare felicità;

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