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CANTO I.

Dopo il discorso del ch. sig. conte Giovanni

Marchetti sulla prima e PRINCIPALE ALLEGORIA DEL POEMA DI DANTE non penso che più vi sarà chi voglia tener dietro alle vecchie interpretazioni. Giova pertanto ricordarsi che nell' anno 1302 trovandosi il nostro Poeta come ambasciatore della Repubblica Fiorentina presso papa Bonifazio VIII per offerire la pace, fu appunto colta questa occasione a dichiararlo bandito prima ch' egli o ne restasse avvisato, o ne avesse qualche sospetto. Cagione dell' iniqua sentenza voglionsi riputare gl' istessi concittadini suoi, divisi per sanguinose fazioni: e Carlo di Valois chiamato da Bonifazio per sedare la terra de' Fiorentini, mostrossi persecutore acerbissimo. Alla nuova di tanta sciagura, lasciata la corte romana, si trasferi Dante sollecitamente a Siena, e, udita quivi più chiaramente la sua calamità, unissi cogli altri Usciti, e venne al campo ragunato in Arezzo sotto il comando del conte Alessandro di Romena. Colà creato de' dodici consiglieri passò due anni di speranza in isperanza, finché, avendo inutilmente tentato gli Usciti di rientrare in Firenze col mezzo della forza, non parve più al

CANTO VIII.

Due fiammelle poste sulla cima della torre, ed a cui si risponde tostamente con altro segno lontano, chiamano Flegias barcaiuolo perchè si accosti a tragittare due che venivano, e che suppongonsi anime di condannati. Dopo qualche alterco sono ricevuti nella barca i Poeti; e andando per la palude compiacesi Dante di vedere lo strazio di Filippo Argenti, collerico uomo bestiale. Poi venuto colla sua guida presso le mura della dolorosa città, rimane sconfortato dalle dure parole dei custodi di quella. Co' quali vanamente trattenutosi Virgilio a secreto colloquio per ottenere l'ingresso, e vistosi in cambio serrar la porta sul viso, torna presso il caro suo alunno, è lo accerta che nondimeno verranno a capo del loro viaggio: essendo già vicino a giungere chi vincerà per essi l'opposizione dei demoni.

CANTO IX.

Non rinfrancato del tutto l'Alighieri del concepito timore, interroga con destrezza il suo maestro per sapere se veramente sia egli pratico dei luoghi, per cui lo conduce: ed inteso ch' ei ben li conosce per esservi altra volta disceso, è colpito dalla vista delle Furie infernali che compariscono sull'alto della torre. Dalle loro malefiche arti Virgilio lo guarda; e, venuto frattanto un messo ce

leste, percuote d'una verga le porte della città dolorosa, e rampogna i demoni che opponevansi all'entrata di Dante voluta dal Cielo. Quindi, cessati gli ostacoli, entra finalmente in Dite la coppia onorata. E osservando come, in seno di ardentissimi avelli, siano puniti gli eresiarchi, vann' oltre fra le sepolture medesime e le mure della città.

CANTO X.

Richiede semplicemente l' Alighieri a Virgilio se veder poteva alcuno de' tormentati ne' roventi sepolcri, e intendendo il buon maestro da questa domanda ch' egli primieraniente s'immaginava essere state dischiuse quelle arche in grazia loro; poi che gli tornerebbe gradito il verificare se alcuno de' suoi conoscenti fosse in quelle pene, lo toglie in primo luogo d'errore manifestandogli, non trovarsi aperte le tombe per alcun riguardo loro porticolare, ma si non essere state suggellate per anco, e non averlo da essere fin dopo l'universale giudizio, perchè vi piombino a mano a mano le anime dei miscredenti. Secondariamente lo gira dalla parte ove han sepoltura gli epicurei e lo spinge incontro a un avello, dal quale sorge Farinata degli Uberti e con lui delle faziose vicende ragiona. Riconosce pure Cayalcante de' Cavalcanti, che gli domanda nuove del proprio figlio, e che supponendolo morto dal modo di rispondere dell' Alighieri, e questi esitando a trarlo d'inganno, ricade per dolore nell'urna e più non risorge. Farinata intanto, continuando nell' incominciato discorso, predice a Dante la vicina sua cacciata

dalla patria; poi gli fa capire, siccome i danna ti hanno cognizione delle cose future ma non già delle presenti; il perchè si duole il Poeta di non aver per tempo replicato all' afflitto Cavalcanti, e prega Farinata stesso affinchè lo consoli. Ode trovarsi fra quelle pene Federigo II imperatore, figliuolo di Arrigo V, e Ottaviano degli Ubaldini : il prinio, al dir dell'Antico, uom largo, savio e prode d'arme, ma scorretto ed epicureo; il secondo animosissimo ghibellino, che disse quella scandalosa sentenza: « Se anima è, io l'ho perduta pe' Ghibellini.» Finalmente, ricondottosi appresso Virgilio, e avvertito di tenere a memoria la predizione di Farinata, la quale sarebbegli stata dichiarata quando fosse arrivato al soggiorno di Beatrice, s'incammina verso la estremità della ripa del settimo cerchio.

CANTO XI.

Giunge il Poeta sull' estremità d'un'alta ripa sovrastante al settimo cerchio, ove, offeso molto dalla puzza che ne usciva, ristà per alcun poco. Quivi gli manifesta Virgilio di quali scelleratezze siano rei quei peccatori che giacciono ne' seguenti tre cerchi che a veder gli rimangono, sicchè vi scenda istruito e disposto. Nel primo adunque sono i violenti: e come può farsi violenza a Dio, al prossimo e a se stessi, così questo medesimo cerchio in tre gironi distinguesi. Superiormente han luoga quei disgraziati che ingiuriano i loro simili; nel mezzo coloro che furon crudeli verso le proprie persone; nel fondo quanti mai se la preser con Dio. Finalmente il secondo cerchio è pieno

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