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Sinone, detto pur dal Poeta da Troia, per denotare che appunto dal tradimento che fece ingannando i Troiani e persuadendoli a introdur nelle mura il cavallo fatale, acquistò egli la propria celebrità. Costui entra in rissa con maestro Adamo e bassamente altercando si rinfacciano ambidue le loro colpe e i tormenti. Ai quali attendendo Dante con soverchia e disdicevole curiosità, n' è ripreso da Virgilio, finchè vergognando di sé medesimo, si scosta da quei vili e porge ai lettori utilissimo avviso.

CANTO XXXI.

Riconfortato l'Alighieri dalle parole di Virgilio, e seguitando ambedue la strada, giungono alla bocca del nono cerchio, dalla quale s'inalzano, come torri, spaventosissime forme di giganti. Fra questi ha contezza il Poeta di Nembrotte, che, in pena d'aver voluto fabbricare la torre babelica, fu ripieno da Dio di tanta confusione e smemoraggine, che perdette affatto la rimembranza de' termini e delle cose. Poi, stretto di catene osserva quel Fialte, che pose il monte Ossa sopra il Pelio quando i figli della terra (chè così, secondo le favole, s' appellano i giganti) tentarono di cacciar Giove dal soglio; e pervenuto finalmente ad Anteo, che quantunque ne rimanesse ucciso, pur ebbe la gloria di contendere con Ercole, da lui con Virgilio è posto nel fondo dell'ul tima bolgia.

CANTO XXXII.

In quattro spartimenti concentrici divide il Poeta nostro l'ultimo pozzo infernale per entro a cui si gastigano i traditori. Queste divisioni non sono distinte per alcuna frapposizione d'argini o di scogli, ma solo pel vario modo con che vi stanno i peccatori; ed hanno poi diversi nomi secondo che diverse maniere di tradimenti vi sono punite. Adunque chiamasi la prima divisione Caina, da Caino uccisore del proprio fratello; la seconda Antenora, da Antenore troiano, il quale, secondo Ditti Cretense e Darete Frigio, tradì la sua patria; la terza Tolommea, da Tolommeo re d'Egitto, traditore di Pompeo; e la quarta Giudecca, dal perfido Giuda, che mise in potestà dei carnefici il divino Maestro. Fra quelli pertanto che tradirono i proprii parenti trovasi dall'Alighieri messere Alberto Camicione dei Pazzi di Valdarno, il quale uccise frodolentemente fra i condannati Alessandro e Napoleone figli di Alberto degli Alberti, nobile Fiorentino signore di Falterona valle di Toscana, per la quale il fiume Bisenzio scorre giù verso l'Arno. Costoro, dopo la morte del padre, tiranneggiarono i paesi circonvicini, e finalmente, venuti in discordia fra loro, l'uno uccise l'altro. Poi gli addita il perfido Mordrec, figlio di Artù, re della Gran Bretagna, il quale, ribellatosi dal padre, e postosi in aguato per ucciderlo, fu prevenuto dal padre stesso con un tal colpo di lancia che, avendogli diviso il petto, passò per mezzo alla ferita un raggio del sole si manifestamente, che taluno in distanza lo vide; poi

Focaccia Cancellieri, nobile pistoiese, il quale mozzò una mano ad un suo cugino ed uccise un suo zio, d' onde nacquero in Pistoia le fazioni dei Bianchi e dei Neri; finalmente, Sassolo Mascheroni, ch' essendo tutore d'un suo nipote, per rimanere erede l'uccise, per lo che a lui fu tagliata la testa in Firenze. Dopo di che lo stesso Camicione de' Pazzi, per evitare la richiesta, palesa il proprio suo nome, aggiungendo di aspettar ivi fra quelle pene messer Carlino pur dei Pazzi, acciò lo scagioni, o vogliam dire, acciò, essendo egli più reo, faccia comparir meno grave la colpa di lui. Questo Carlino, essendo di parte bianca, diede per tradimento ai Neri fiorentini il castello di Piano di Trevigne, e ne ricevette gran somma di denaro. Intanto, procedendo l'Alighieri verso l'Antenorea, urta col piede il capo ad uno de' peccatori, che lamentandosi della percossa induce nel Poeta la curiosità di conoscerlo. Ma egli ostinatamente ricusa di palesarsi; e volendo l'Alighieri dall' altro canto costrignervelo a forza e strapazzandolo, alza colui miserabili grida, il perchè un altro dei peccatori gli domanda che abbia, e lo nomina per Bocca degli Abati, gentiluomo fiorentino della fazione dei Guelfi, per tradimento del quale furono trucidati a Montaperti in Toscana quattro mila de' suoi stessi compartitanti. Or vedendosi Bocca scoperto, manifesta anch'egli per vendetta primamente il nome di chi nominollo, ed è questi Buoso di Duara Cremonese, il quale, corrotto per denaro datogli dal conte Guido di Monforte, generale francese, lasciò libero il passaggio all' esercito di lui verso la Puglia; quindi accenna un tale del casato dei Beccheria, oriundo di Padova, a cui per essersi scoperto certo trattato che fece contro ai Guelfi e in favore dei Ghibellini in Firenze, ov'era

legato del Papa, fu mozzo il capo; e nomina infine Gianni di Soldaniero, che tradì la parte di messer Farinata degli Uberti; Ganellone o Gano, traditore dell'esercito di Carlo Magno, e Tebaldello de❜Manfredi, che aprì di notte a' nemici una delle porte di Faenza sua patria. Ma dilungandosi Dante con la sua scorta da costoro, s'arresta nuovamente presso una coppia di condannati, che sovra gli altri per orrende circostanze distinguonsi. E promettendo all'uno di quegl' infelici di portar nel mondo notizia di lui, se della sua condizione lo informi, pone termine al presente Canto, e serba per quello che segue la pietosa risposta.

CANTO XXXIII.

Levasi dell'orrendo pasto l' interrogato peccatore, e manifestando sè stesso pel conte Ugolino della Gherardesça, nobile pisano e guelfo di parte, racconta la crudele sua morte e quella dei figli suoi. Non si legge in alcuna lingua nè antica ne moderna una scena sì terribile insieme e sì commovente. Adoprandosi Ugolino di concerto con Ruggieri degli Ubaldini, cacciò da Pisa il proprio nipote chianato Nino, che se n'era fatto signore, e si pose in luogo di lui. Ma Ruggieri per invidia e per odio di parte, togliendo a pretesto che avesse il Conte tradita la patria col rendere ai Fiorentini ed ai Lucchesi le loro castella, inalberò la croce secondandolo i Gualandi, i Sismondi e i Lanfranchi, potentissime famiglie, e venne col popolo furibondo alle case di Ugolino. Qui fattolo prigioniero con due suoi figliuoli e con due suoi nipoti (che figliuoli egualmente nel

Canto s'appellano) li rinchiuse nella torre della piazza degli Anziani, e, gettatene in Arno le chiavi, lasciò che tutti cinque morissero di fame. Uditaue la miserabile istoria, prorompe Dante in amarissime invettive contro Pisa, e procedendo nel cammino giunge alla terza specie dei traditori, che sono compresi nella Tolommea. Qui riconosce Alberigo de' Manfredi di Faenza, che fattosi de' frati Godenti, ed essendo in discordia con alcuni suoi consorti, finse volersi riconciliare con essi e li convitò magnificamente. Sul finir della mensa, gridò egli: Fuori le frutta, ed essendo questo il segno concertato, uscirono gli appostati sicarii e trucidarono i convitati. Era tra i vivi Alberigo nel tempo che Alighieri dettava i suoi canti, e fa quindi le meraviglie d'incontrarlo fra i perduti. Ma informato quegli come i rei della Tolommea, subito dopo il commesso tradimento, discendon coll' anima nell' abisso, intantochè resta il corpo nel mondo, e un demonio lo informa fino al giorno in che debbe pur esso ritornar nella cenere. La qual trasmigrazione a render credibile, prosegue Alberigo additandogli rinchiuso nel ghiaccio lo spirito di Branca d' Oria, Genovese, inimico de' Fieschi, sebbene il corpo di lui si vedesse tuttor fra i viventi. Laonde chiude il Poeta imprecando alla ligure nazione che tali uomini produce, co'quali si prodigiosamente i demonii si scambiano.

CANTO XXXIV.

Ecco finalmente i due poeti all'ultima bolgia infernale, là dove si puniscono quegli scellerati che

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