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Venezia, se ne tornò dolente ed afflitto a Ravenna, ove poco dopo morì. L'anno della sua morte è notato da Giovanni Villani con queste parole: « Nel detto anno 1321 del mese di Settembre il dì >> di santa Croce mori il grande e valente poeta » Dante Alighieri di Firenze nella città di Raven»na in Romagna, essendo tornato d'ambasceria >> da Venezia in servigio de' signori da Polenta » con cui dimorava 1. »

Guido Novello gli fece celebrare magnifici funerali, e volle che sopra gli omeri de' suoi più qualificati cittadini fosse onorevolmente portato infino alla chiesa dei Francescani. Egli aveva divisato di chiuderne le spoglie in un sontuoso sepolcro; ma la morte che poco dopo lo colse gli impedi d' eseguire il concepito disegno che nel 1483 fu condotto a termine da Bernardo Bembo pretore di Ravenna per la Repubblica di Venezia. La tomba fatta inalzare a Dante dal padre del celebre cardinal Bembo è adorna di parecchie iscrizioni, e di un epitaffio in versi latini rimati che si crede composto dallo stesso Alighieri negli estremi giorni di sua vita. I Fiorentini chiesero più volte le reliquie del loro immortale concittadino, ma non le ottennero mai; onde giacquero fuor di Firenze le ceneri di colui che ella non seppe onorare, come ben si meritava, mentre era vivo, e che desiderò invano di possedere dopo la morte 2.

Gio. Villani, lib. IX, cap. 133.

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2 Pelli, Memorie per servire alla Vita di Dante, art. 15. Sul principio di questo secolo la venerazione alla memoria di Dante mosse i Fiorentini ad inalzargli a pubbliche spese un monumento grandioso in santa Croce. L'opera fu allogata al professor Ricci. Fuvvi scolpito per epigrafe il verso della Divina Commedia: ONORATE L'ALTISSIMO POETA.

La storia e le belle arti gareggiarono nel conservarci il ritratto di Dante; e come anche le forme esteriori di un uomo di sì peregrino ingegno e di un cosi forte animo sono degne di essere conosciute, così noi qui le descriviamo. Egli fu di mezzana statura, è nella vecchiaia andava alquanto curvo, ma sempre con passo grave e maestoso; ebbe il volto lungo ed il naso aquilino, le mascelle grandi ed il labbro di sotto proteso tanto che alquanto quel di sopra avanzava; gli occhi erano piuttosto grossi, la barba ed i capelli folti, neri e crespi; ed il suo aspetto appariva d' uomo malinconico e pensoso. Questi lineamenti erano così pronunciati, che tutti i ritratti di questo poeta si rassomigliano. Il Boccaccio ce lo dipinge altresì come composto, cortese e civile; e se il Villani lo dice rozzo, schifo e sdegnoso, ciò si dee attribuire alla vita infelice che egli menò dopo il suo esilio. Era assiduo negli studi, tardo parlatore, ma molto sottile nelle sue risposte; amava di vivere solitario e ritirato dal conversare cogli altri; aveva assunto quella nobile alterezza che viene ispirata dal merito conosciuto e che conforta al ben fare, quando sia rettamente diretta; era nemico dei cattivi, e dei loro costumi implacabil censore. Un fatto narrato da Benvenuto da Imola ci dimostra quanto egli fosse assorto nelle sublimi contemplazioni. Avendo trovato nella bottega d' uno speziale un libro da lui fin allora inutilmente cercato, appoggiatosi ad un banco si pose a leggerlo con tale attenzione, che da nona fino a vespro si stette quivi immobile, senza avvedersi dell'immenso strepito che menava nella contigua strada un corteggio di nozze che di là venne a passare 1.

1 Boccaccio, Vita di Dante. — Pelli, Mem., art. 16.

Dalla moglie Gemma ebbe Dante cinque figliuoli ed una figlia, cui pose nome Beatrice in memoria del suo primo amore. Tre de' suoi figliuoli morirono in tenera età; Pietro suo primogenito divenne celebre giureconsulto, coltivò anche la poesia, e fu il primo chiosatore del poema di suo padre. Jacopo suo secondogenito, commentò anch' egli la prima parte della Divina Commedia, e ne fece un compendio in terzine; ma egli è si lontano dall' eccellenza del padre, quanto le tenebre dalla luce.

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L'opera cui Dante va debitore della gloria, che non verrà mai meno, è il suo poema. Prima però di ragionare intorno ad esso siamo d' avviso di dover dare un'idea delle altre opere sue; giacchè tutti i parti di sì nobile ingegno sono preziosi per la storia delle italiane lettere. Prime ci si presentano le sue Rime composte di sonetti e di canzoni, secondo il costume di que' tempi. Molta vaghezza ed acume hanno i suoi sonetti.

Le canzoni di Dante sono gravi e sublimi, e. provengono da un petto pieno di filosofia, non meno che da un'alta e feconda immaginativa. Esse parlano d'amore, e talvolta esprimono lo

SCRITTI VARII, ecc.

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stato dolente dell'esule poeta, il quale però, altero in mezzo alle sue sciagure, le antepone al vizio ed alla vergogna.

La prosa della Vita Nuova è distinta da un certo candore ed è colorita da una dolce melanconia, che era lo stato abituale dell' anima del poeta.

In età provetta, anzi, come si crede, negli u!timi anni della sua vita, Dante cominciò un'altr'opera in prosa, cui diede il titolo di Convito, nella quale aveva fermato di commentare quattordici sue canzoni; ma la lasciò imperfetta, non avendone commentate che tre sole. «Il Convito » (dice il cav. Monti) è la prima prosa severa che » vanti la lingua illustre italiana, e la prima che » parli filosofia. Fallita filosofia, il concedo, mas» simamente ove spaziasi a ragionare del sistema » celeste e della potenza de' pianeti sugli umani » appetiti; ma sublime e scesa dal cielo, come già » disse Tullic, quella di Socrate, quando infiam>> masi nelle lodi della stessa filosofia, e la chiama » figlia di Dio; e quando entrato nel santuario » della morale, con gli stimoli della più gagliarda >> eloquenza invita e sprona le genti a innamorarsi » della virtù, e nella sola virtù fa consistere la » nobiltà delle schiatte, e getta nel fango coloro » che con vilissime operazioni la nobiltà disono>> rano de' virtuosi loro antenati. Come poi tocca » il lacrimevole stato dell'ingrata e sempre ama>>ta sua patria e fermasi a contemplare le piaghe » della povera Italia dalle interne ire straziata, e » dalle esterne conculcata, divorata, avvilita, di » che tenera compassione, di che magnanimi sde>> gni s'accende tutto il suo dire! Per lo che, tutto » insieme considerato, tale in quest' opera si di» mostra l'altezza dell'animo suo, che ti solleva » il pensiero, e tale l'immenso suo sapere in un

» secolo d'immensa ignoranza che tiene qualità » di prodigio 1. »

Piacque all'Alighieri d' intitolar Convito questa sua opera, perchè in essa egli tenta di ministrare il cibo della sapienza a chi ne ha difetto, seguendo il costume dei generosi che sanno, i quali porgono della loro buona ricchezza alli non poveri, e sono quasi fonte vivo, della cui acqua si rifrigera la natural sete di sapere. Egli vuole che se la Vita Nuova è fervida e passionata, il Convito sia temperato e virile; e se nella prima spira l'amore di Beatrice, il secondo è ravvivato dalla carità di patria.

Allorquando l'Alighieri ripose ogni sua speranza in Enrico VII, si adoperò a tutt' uomo per rafforzarne il partito nell' Italia, si giovò principalmente della sua penna, e compose a ciò un latino trattato cui diede il titolo De Monarchia.

Non rimane più verun dubbio che Dante abbia scritto in latino i libri della Volgare Eloquenza, i quali essendo dapprima usciti alla luce solo nella lor traduzione italiana, furono creduti supposti, e non si riconobbero come opera di lui, se non quando il Corbinelli pubblicò in Parigi il testo latino, correndo l'anno 1577. In questa opera egli cerca quale fra i dialetti delle varie terre italiane meriti per eccellenza il titolo di italica, dimostra in qual maniera e in quali specie di rime sia bene usare il volgare illustre, e tratta delle canzoni, dei versi, delle stanze e dello stile delle medesime.

Si crede che Dante ponesse mano in età molto avanzata alla traduzione o parafrasi dei sette Sal

1 Saggio de' molti e gravi errori trascorsi in tutte le edizioni del Convito di Dante del cav. V. Monti, Lett. dedicatoria. Mil., tipografia dei Classici Italiani, 1823.

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