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» detto, molte altre cose con sublimi affetti sog>>> giunse 1. >>

Dichiarato l'intendimento politico dell'Autore della Divina Commedia, resta a dimostrarsi qual meta morale egli bramasse di toccare. Primieramente il Poeta, al dir del Gravina, ha voluto col paradiso significare la vita beata che gode il saggio, quando colla contemplazione si distacca dai sensi. Alla quale beatitudine non si perviene senz' aver fatto mondo l'animo nel regno della ragione figurata nel purgatorio, dove perciò anche Virgilio entra e viaggia; nè può la ragione contra i vizi esercitar la sua forza, se non è spaventata dall'orribil vista dell' inferno, sotto il quale viene ombreggiata la natura de' vizi, che lacerano coloro i quali ad essi si danno in preda 2. Lo stesso Dante, nel suo libro della Monarchia, dopo aver detto che l'uomo composto d'anima e di corpo è un certo che di mezzo fra le corruttibili e le non corruttibili cose, afferma che due fini l'ineffabile Sapienza propose all'uomo, a' quali dovesse indirizzarsi; cioè una felicità in questa vita, che consiste nell'operazione di sua propria virtù, e nel terrestre paradiso figurata, cioè in uno stato d'innocenza e di libero arbitrio non aggravato dalle colpe; e la beatitudine eterna che consiste nel godimento dell'aspetto divino, alla quale non si può salire per propria virtù, se da lume divino non è aiutata; e questa viene dall' intendere che cosa sia il paradiso celeste.

Dopo aver trovato un altissimo scopo di politica e di morale, ed un' invenzione originale e grandissima, bisognava darle regola d'arte; e l'argomento uscito di cervello al filosofo doveva

I Ambrogio Taversari, pref. del Mehus, foglio 310. 2 Gravina, Ragion Poetica, lib. II, 13.

esser dal poeta vestito e ridotto ad unità e varietà. Innalzasi dunque Dante dalle riflessioni filosofiche al furore poetico, per considerare tutti i vizi e le virtù poeticamente 1; ed eccolo dalla viva sua immaginazione trasportato nell'inferno, nel purgatorio e nel paradiso; ed ecco meraviglie in ogni parte. Per lui si muovono la divina Clemenza, la Grazia illuminante, la Teologia, la quale è in Beatrice raffigurata, che amando l'amante suo, e compassionandolo, lascia il celeste suo scanno, discende al limbo; e la morale Filosofia sollecitando, che con la persona di Virgilio è vestita, la manda in aiuto del suo fedele, acciocchè fin là dov' egli può, cioè, fino al paradiso terrestre, lo guidi. Ecco per lui in azione demoni, angioli, santi; ecco un mirabile vero che ad un tratto occupa il cuore, e si acquista la fede di chi legge. Chi mai si aperse colla poetica immaginativa tanto mondo e così variato, per l'azione di un poema, e così soprannaturale, che dappertutto egli si vegga davanti nelle infernali bolge la divina Giustizia che i peccatori saetta e flagella, e ne cerchi del purgatorio chi le anime faccia belle, e finalmente nel paradiso la gloria de' beati per li diversi gradi, e a tanto pervenga, che fermi l'occhio nella divina beatitudine?

Veggiamo ora se al mirabile del poema si sia aggiunta la semplicità e l'unità. Nel canto

I Noi seguiremo qui quell' ameno e dottissimo ingegno del conte Gasparo Gozzi, il quale nella sua Difesa di Dante ha ritratto egregiamente il carattere letterario e morale di Dante e sviluppato l'artifizio della Divina | Commedia con una chiarezza e precisione da non lasciar più nulla o ben poco da desiderare. Dettò questa operetta a confutare le pazze Lettere virgiliane scritte dal Bettinelli che volle in esse vilipendere i nostri Classici, e in ispecial modo l'Alighieri.

primo immagina di trovarsi in una selva oscura, in cui non sa più come nè dove aggirarsi; vede un monte, la cui cima è vestita dai raggi del sole; comincia a salire: gli s'attraversano tre fiere, che spaventandolo lo respingono; l'ombra di Virgilio gli appare, gli dice quella non essere la via di salire al monte, e che lo condurrà per altro luogo; Dante si mostra deliberato a seguirlo: ecco staNel secondo bilita la proposizione del poema. canto il Poeta s'apparecchia a sostenere la fatica e la compassione del novello cammino; invoca le Muse, l'Ingegno e la Memoria, e ravviluppato negli errori, e punto dalla coscienza, chiede a Virgilio che, prima d' affidarlo all'alto passo, guardi se la sua virtù è da tanto. Il latino poeta ne lo riprende, e gli mostra la divina Clemenza, che vedendolo in pericolo si rivolse alla Grazia illuminante da lui chiamata Lucia, e le raccomandò il suo fedele; questa andò a Beatrice, cioè alla Scienza divina, e la pregò di dargli soccorso. Beatrice aveva chiamato Virgilio e, pregatolo ad essergli guida, se ne partì lagrimando. Il Poeta si rinfranca, si abbandona liberamente a Virgilio, ed entra nel cammino. A Beatrice egli dà tutto l'onore dell'impresa; e tutto ciò che egli vede, opera od ascolta, tutto fa per opera di Beatrice; non altrimenti che per la preghiera fatta da Minerva nel consesso degli Iddii, Ulisse esce dall' isola di Calipso, luogo di errori, come la selva di Dante, e ritorna alla patria 1.

Colla scorta di Virgilio, o piuttosto della morale Filosofia, visita l'Alighieri tutti i gironi dell' inferno, e contempla le sozzure de' vizi figurate nella qualità delle pene, le quali sono in mirabil

Gozzi, Difesa di Dante, tomo V, pag. 81 e seg. della edizione dei Classici Italiani del secolo XVIII.

guisa analoghe alla colpa che esse puniscono. I ghiotti sono tormentati dalla pioggia fredda e greve, dalla grandine grossa, dall' acqua tinta, che fan putire la terra ed offendono le nari solleticate prima dal grato odor delle vivande; gli incontinenti son menati in volta da una bufera infernale, che voltando e percuotendo li molesta in luogo di ogni luce muto, simbolo della ragione spenta dai sensi; gl' iracondi sono tuffati nell'acqua bollente, ed i violenti in una riviera di sangue; gli adulatori in una immonda e puzzolente latrina; gl'increduli o sprezzatori di Dio stanno ignudi sovra un sabbione, in cui piovon di fuoco dilatate falde 1; gli epicurei, che l'anima col corpo morta fanno, sono sepolti entro arche infuocate; gl' ipocriti sono aggravati di cappe al di fuori dorate e di dentro di piombo; i falsi profeti e gl'indovini hanno il viso rivolto sulle spalle per dinotare il torto lor modo di vedere; i seminatori di scismi e di scandali hanno le membra tronche e lacere; i traditori sono fitti in un lago ghiacciato, perchè di gelo dee essere il cuore dello scellerato che tradisce l'amico, come Tolomeo fece con Pompeo. Con sommo ingegno poi si pone Pluto, dio delle ricchezze, nella fossa degli avari; Cerbero in quella dei golosi; e si dà per compagno Flegias agl' iracondi, il Minotauro ai violenti; e Gerione conduce i frodatori; e Caco primeggia infra i ladri 3.

Alla fine dell'inferno noi ci accorgiamo, che la scena della Divina Commedia non è minore di tutto il creato e dell' intiero sistema del mondo,

1 Inf., C. XIV.

2 Inf., C. X.

3 Esame della Divina Commedia di Giuseppe Cesare, edizione di Dante, vol. V, pag. 437.

come avverte il Conti. Poichè dal centro della terra Dante cammina fino ai pianeti, e da questi alle stelle, e al di là: e per dare a un si vasto luogo, un legame di unità, immagina quel Lucifero smisurato, che cadendo col capo in giù dalla parte della zona uon abitata, sloga tanta terra che solleva la montagna del purgatorio, la quale si va a congiungere coi pianeti. La gradazione degli scaglioni della montagna del purgatorio non è meno mirabile che quella dei gironi e delle bolge dell'inferno. Il luogo della nuova scena che il Poeta si propone di percorrere è diviso in tre parti; cioè nel basso della montagna fino al primo circuito del purgatorio; nei sette cerchi che innalzandosi l'uno sopra l'altro occupano la maggior parte della montagna; e nel paradiso terrestre che sorge sulla sommità. - Dante si lava il volto per cancellarne la fuliggine delle fornaci infernali; ode il dolce canto di Casella; mira i negligenti, e la fuga del serpente infernale, che s'invola al solo romore delle ali angeliche; ed è in sogno portato da Lucia o dalla divina Grazia alle soglie del purgatorio. La porta si schiude e gira sui cardini con orribile fracasso; e qui si scorgono nuove pene imposte a quegli stessi peccati che si videro puniti nell' inferno, e che in questo regno, dopo un verace pentimento, si purgano. La superbia è espiata sotto gravissimi pesi: alcune anime coverte di vile cilicio e cogli occhi cuciti da un filo di ferro purgano il peccato dell' invidia; gli accidiosi sono costretti a correre senza posa; gl' iracondi sono involti in una nebbia fitta quanto il più nero fumo; gli avari si strisciano sul proprio ventre, avendo i piedi e le mani legate, onde son forzati a riguardare quella terra alla quale in vita ebbero sempre rivolti ed occhi e pensieri; l'aspetto e la fragranza dei frutti di

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