DELLA DIVINA COMMEDIA. INFERN 0. Dice il Poeta come a mezzo il corso della sua vita si ritrovò in una selva si oscura che la via diritta era smarrita. Egli non sa ridire come v' entrasse; ma solo gli ricorda che arrivò al piede d'un colle le cui spalle erano già vestite deʼraggi del sole. Quetatasi un poco la sua paura, volle riprender via ed ascendere il colle, ma gli si fecero incontro una lonza, un leone e una lupa; e gl' impedivano il cammino per modo ch'egli già s'era vôlto a ritornar nella valle: quand' ecco presentarglisi un'umana figura. Dante la domanda dell' esser suo; e quella risponde: Io fui lombardo, vissi a Roma sotto il buono Augusto, fui poeta, e cantai d' Enea figliuolo d' Anchise che venne da Troia dopo l'incendio di quella città; ma tu perchè ritorni alla noiosa valle invece di salire il monte? Il nostro Poeta, accortosi d'esser innanzi a Virgilio, dopo alcune parole di onore e di ossequio, gli si raccomanda, perchè lo aiuti a scampar dal pericolo in cui si trova. Allora Virgilio lo conforta dicendogli che per salire all' altezza del collé gli conviene tenere altro viaggio attraversando il soggiorno dei dannati, e SCRITTI VARII, ecc. 5 quello di coloro che si purgan contenti nel fuoco, per salire poi alle sedi dei beati. Io medesimo, dice, ti sarò guida nelle prime due parti di questo viaggio; nel rimanente ti guiderà un' anima a ciò più degna di me. Le parole di Virgilio non possono confortar tanto il nostro Poeta, ch' egli non sia sgomentato dalla difficoltà del proposto viaggio; ma dicendogli poi Virgilio ch' egli è mandato da Beatrice, la quale, come pietosa di lui venne dal Paradiso nel Limbo (dov' egli dimora ) a dargli questa incumbenza, l'Alighieri depone ogni paura, dichiara di volerlo seguitare dovunque, e si mette con lui in cammino. I due poeti giungono alla porta dell' Inferno, al di dentro della quale sono puniti i poltroni. ( Canto III, v. 1 ). Per me si va nella città dolente, La somma Sapienza, e 'l primo Amore. Vid' io scritte al sommo d' una porta; Ch' hanno perduto 'l ben dello 'ntelletto. Quivi sospiri, pianti, e alti guai Parole di dolore, accenti d'ira, Voci alte e fioche, e suon di man con elle, Di gente, ch'i' non avrei mai creduto Questi sciaurati, che mai non fur vivi, Intanto ecco venire verso Dante e Virgilio il vecchio e canuto Caronte in una nave. Egli minaccia colle sue grida le anime che stavan quivi aspettando di essere tragittate, e comanda a Dante, ancor vivo, di separarsi dai morti. E' duca a lui: Caron, non ti crucciare. Ciò che si vuole: e più non dimandare. Al nocchier della livida palude, Ch' intorno agli occhi avea di fiamme ruote. Ratto che inteser le parole crude. L'umana spezie, il luogo, il tempo e 'l seme Ch' attende ciascun uom che Dio non teme. Caron dimonio, con occhi di bragia, L'una appresso dell'altra, infin che 'l ramo Gittansi di quel lito ad una ad una, Alle parole di Virgilio successe un commovimento della terra e dell' aria si forte, che. Dante cadde tramortito; e quando si risenti trovossi già calato nel primo cerchio dell' Inferno, cioè nel Limbo. Ditnorano quivi le anime di coloro che vissero onestamente, ma, per non avere avuto il battesimo, non possono entrare nel Paradiso. Non sono tormentati da verun martirio, tranne il rammarico di esser privati della beata visione di Dio; e, come di questo numero è anche Virgilio, perciò gli si fanno incontro le anime di molti altri poeti gentili congratulandosi del suo ritorno. Partitisi da costoro, Dante e Virgilio entrano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi (Canto V, v. 25). Ora incomincian le dolenti note A farmisi sentire, or son venuto Che mugghia, come fa mar per tempesta |