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zion vostra, e forse anco al luogo ove doveva mostrarsi pure immaginai quella intenzione perchè non paresse che, trattando dichiaratamente questo suggetto, le poesie del conte Marchetti avessero bisogno di un panegirico, ed io, giovane di nessun conto, stimassi di avere autorità e fama da tanto da metterle in riverenza all'Italia. La quale già le ama da molto tempo, e si gloria di avere un poeta che tenga viva la grazia, la leggiadria, la nobiltà dell'antico poetare: e dimostri poter l'uomo farsi singolare dagli altri senza divenire insolito e fuggire alla scuola del giudizio e della ragione ; e dovere la poesia esser governata da morale o patria carità. Laonde per far cosa grata a voi, che io amo e pregio in estremo, lascerò quell'opericciuola, che a voi indirizzavo perchè dal vostro nome prendesse qualche speciosa comparenza, e verrò discorrendo alla libera i pregi di questo poeta. Non mi conduco a favellare come giudice: sono modesto giovane, il quale, preso di queste poesie, pensa potere essere scusato da temerità pigliando a dire la sua opinione, é pensa potersi lodare senza viltà e senza pericolo. Perciocchè spesso il lodare non è meno pericoloso e prosuntuoso del biasimare : ma svanisce ogni pericolo e vano gonfiamento di prosunzione rinnovando le lodi a cose pregiate e lodate; nè dai prudenti e discreti spiriti penso poter meritar nota di leggiero o superfluo colui che si dà a ricercare nuovi concetti da dirsi sopra la

bellezza e il valore dell'ingegno umano. Chè se anco pregiamo la usanza di celebrare le arti e gli studi, perchè non possiamo lodare i lavori degli artisti e degli studiosi; e considerare le intenzioni loro, e vedere quanto hanno di vero, di profittevole, di gentile; o se smuovono e incrudeliscono le passioni non buone o le segrete infermità dell'animo col trattenere in tempo per mezzo d'inetti e oziosi spettacoli i riguardanti? Vedete, Raffaele carissimo, ch'egli non ci è venuto a cantare una lamentazione come i cigni avanti al loro passaggio, secondo la più parte dei moderni; i quali credono di fare schermo ai mali piangendo: ma col pianger non s'opra. Dal quale uffizio, più femminesco che virile, non so quanta pietà delle sventure pubbliche si possa ingenerare nel cuore degli uomini: ove dominando più spesso l'accendimento di uno sdegno doloroso, invece di esca perchè prorompa, versiam pianto, non arma, ma vile e quasi colpevole compagno della ragione: nè questo lacrimare e immalinconire continuo è dalle calamità pubbliche, ma più spesso dalle passioni private. Per la qual cosa vestendo il Conte di pulite e leggiadrissime vesti concetti nobili e generosi, sentimenti dilicati e gentili, ha compiuto l'ufficio di un degno scrittore e di un amorevole cittadino. Imperciocchè chiunque si farà a leggere le sue poesie s'adagierà nella mia sentenza; trovandovi entro utili pensieri governati da un affettuoso senti

ne.

mento che viene dall' animo e si trasfonde nel vostro, e vi lascia contento e operoso il pensiero. Oltrechè all'equalità, all'altezza, alla politezza dello stile vedrete andar dietro quella virtù che solo dall'anima dei grandi ingegni s'imprime, quell' indole che tiene qualità e portamento da una singolarità o specialità di sentire e di dare al pensiero vita perenLa quale virtù insomma distingue l'autore dallo scrittore, e l'artefice dall'artigiano. In pochi autori poi vedrete tanto trasfusa la soavità dell'indole e dei costumi propri, la propria nobiltà dell'animo e del concepimento, quanto nelle Canzoni di questo poeta. Molti più dall'ardire che dalla verecondia piglian concetto di valenti: onde oggidì, che le vanità e i traviamenti sono chiamati altezze di mente e generosità di cuore, alcuni forse, i quali ributtano ogni cosa che non sia insolita o forestiera, non piglieranno piacere e meraviglia da questa nobile e moderata poesia; ma coloro che amano tutte le buone e gravi cose italiane si debbono compiacere di queste opere che tanta parte conservano della magnificenza e del valore italico, e sono testimonie di un operoso pensare e di un poetare nobilissimo. La quale maniera di lettere potremo disprezzare ma non perdere; poichè l'avemmo dai Greci e dai Latini, eterni e sovreminenti maestri delle arti del pensiero e della gentilezza: le cui opere, quali fönti vive che stravenino sotterra, mantengono, direi quasi, morbidi e sugosi gli egregi

studi italiani: i quali, siccome acqua che si travasano alle crescenze e ai ritorni della marea, vanno a porre nell'ampie correnti donde li derivammo.

Di che pensando mi domina una dolorosa melanconia e uno sdegno forte (chè in vero è da sdegnarsi e da dolersi), perchè una scelerata e maligna potenza o di fortuna o di natura le cose e speranze buone dell'itala letteratura nel più bello prema e soffochi; o perchè dove più essa natura dovrebbe apparire amorosa madre si mostri funesta matrigna. Perocchè se fosse stato conceduto tanto di vigore e di salute (la quale a chi deve faticare nello acquisto di un'arte nobilissima, che non è cosa fortuita nè breve, è il primo fondamento) alla dilicata complessione del conte Marchetti, avrebbero avuto le lettere italiane una ancor più grande ed evidente ricordanza del valore antico nell'opera dell'ingegno e nella grazia e felicità dell' esprimere e animare il pensiero, e un più alto monumento di gloria nelle sue Canzoni. Delle quali egli, uomo principalissimo di virtù, parmi a questi tempi primo rinnovatore e maestro. La Canzone, inventata da Giraldo di Borneil, celebrato il maestro dei Trovatori, è il componimento che nel pregio a tutti gli altri passa molto avanti. Gl'Italiani prima di ogni altro popolo imitarono il poetare della Canzone, e Dante l'appellò il più nobile dei poemi italici. Abbandonammo un pezzo questo genere magnifico di poesia, o che ne fossimo sazi o paurosi: ma quanto

è accomodato a forti e leggiadre fantasie! quanto tiene di gravità, di nobiltà, di grazia! La qual maniera di componimento avete visto acquistare di poi chiarezza di fama a Giacomo Leopardi, pari piuttosto, come sentenziò Pietro Giordani, ai migliori dei Greci che superiore agl'Italiani; a Terenzio Mamiani della Rovere, grande e splendido ornamento della poesia e filosofia italiana; e a Maria Giuseppa Guacci, vostra concittadina, tanto valente nel poetare da non rimaner dietro da nessuno dei migliori viventi, e da entrare innanzi vittoriosamente a molti degli antepassati. I quali elevatissimi spiriti ebbero forse incitamento nel presente secolo a trattare questo modo di rimeggiare da Giovanni Marchetti. Nelle cui Canzoni vedete cantarsi l'amore della patria, maledire le indegne voglie di soprastare, infonder desiderio d'imitar la virtù, inspirar nobili sensi con animoso petto e graziosissimo canto. Il quale tiene abito e indole carissima da Francesco Petrarca: verso cui si sono empiti la bocca e il petto di meraviglia e di lodi tanti scrittori che ne possedevano meglio i vocaboli che i segreti dell'arte; e l'opera dello scrivere, per la corta vista dell' intelletto, riputavano schiava di formole, o una facoltà da notaio. Perciò da Luigi Carrer, grande e bello ingegno, furono pronunciate queste parole: Giovanni Marchetti ereditò la lira del Petrarca, su la quale cantò quelle tanto belle Canzoni che a quest' ora il gridarono

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